Le lezioni della terra
Ci sono parole che ci accompagnano nel nostro cammino. Termini che ci portiamo dietro, dentro; che nel corso del tempo cambiano forma, e maturano nella sostanza del loro significato.
L’umiltà è un concetto vivo, che cresce con noi; la disegniamo con forma mutevole, a seconda del momento della nostra vita e della nostra capacità di crescita.
Arriva un momento, poi. Magari abbiamo visto più portoni chiusi che piccoli spiragli; o abbiamo inteso su di noi cosa significhi lavorare duramente, e rinunciare, e non arrendersi; abbiamo dovuto accettare la privazione di qualcosa, o peggio ancora di qualcuno. E tanta è la rabbia che sentiamo di avere il diritto di provare, da essere tentati di allontanare da noi per sempre quella parola, ormai inutile, stupida, diametralmente lontana da quello che in fondo ci spetta.
Ci accorgiamo allora che il momento straordinario in cui resistiamo alla tentazione di mandarla via, è lo stesso in cui la parola umiltà ci appare fantastica. Per capire meglio il senso, andiamo al significato: “una persona umile è essenzialmente una persona modesta e priva di superbia, che non si ritiene migliore o più importante degli altri.” E continuando la lettura, vediamo che “il termine “umiltà” è derivato dalla parola latina “humilis”, che è tradotta non solo come umile ma anche come “dalla terra”.
Eccolo, il punto in comune tra l’umiltà e chi un giorno incontriamo, e si presenta a noi esattamente con questo tratto. Filippo è un uomo consapevole, un instancabile lavoratore, un punto di riferimento unico per i suoi e per la sua terra. Ed è un esempio straordinario di umiltà. Voglia di fare il vino fatto bene insieme al suo amico Matteo Correggia; pronto a raccogliere le sfide; in prima linea ad innovare; sempre a disposizione della vigna e della famiglia; un uomo fiero, convinto del suo lavoro; e straordinariamente umile. Come avviene nelle grandi famiglie, è un uomo che trasmette ai suoi figli l’esempio migliore di atteggiamento, senza lezioni. Gianni e Laura sono al suo fianco, entrambi con l’impegno autentico e la volontà di portare avanti un nome che è motivo di orgoglio. La gentilezza e la disponibilità sono compagne della semplicità e della riservatezza. Nessuno rimarca la fatica, lo sforzo, l’impegno costante nel dover difendere una terra ed una zona spesso poco valorizzate per le potenzialità che hanno.
Parla un pò con noi, Filippo, e poi scompare. Noi proseguiamo con Laura e suo marito Guglielmo il nostro cammino di approfondimento. E quando siamo immersi nei discorsi e nell’assaggio delle differenze che la terra esprime nei bicchieri, lui ci raggiunge nuovamente, con una bottiglia in mano. Gli occhi fieri, e tra le mani su cui il lavoro ha lasciato i suoi segni indelebili, una bottiglia. La bottiglia. L’Arneis con l’etichetta graffiata dal tempo su cui però si legge 1972. Eccola, la sua sposa; varca la soglia di casa portandola in braccio, con il fare romantico di un innamorato, che con cura si preoccupa che la sua amata sia al sicuro e le sia riservato lo spazio che merita.
Ci racconta la storia di quella bottiglia, con semplicità; ci trasmette l’impegno, la volontà di riuscire, ed è trasparente la sua vocazione per il vino e la voglia di fare le cose sempre insieme; perchè come dice lui “da solo non fai niente”.
Narra le sue vicende volentieri, sorride sui primati della paternità dell’Arneis, e quando entra nei dettagli delle vicende e fa riferimento ai furbetti del riconoscimento fine a se stesso, si ferma un attimo, sorride tra sè e sè e poi bisbiglia “poi cambia niente”…
Eccola, la lezione di vita di un sabato mattina. La sicurezza di fare tutto quello che era necessario, e altrettanta sicurezza di non voler mai prevaricare. Un famiglia unita, il contributo di ognuno per la sua parte, e la parte di ognuno per il tutto. Un tutto che ha il sapore di brezza leggera, che passa attraverso una porta spalancata, e che accoglie in casa l’umiltà come l’ospite più importante.