Ci vogliono 3 anni per fare la domanda giusta
Respirare la terra che impolvera le scarpe mentre camminiamo, ascoltare gli insegnamenti nascosti nelle conversazioni, ammirare la confidenza e il rapporto intimo con la natura, tutto con una costante nella testa: ogni cosa qui, a Costa Vescovato, in questa calda mattina, parla di rispetto.
Tornare a cercare l’etimologia di quel termine, costante presenza nel cuore che ha appena conosciuto Daniele; ed ecco che l’insistenza di questa parola trova pace e spiegazione: origine latina, che significa guardare indietro.
Daniele porta avanti il sogno dei suoi nonni, il lavoro loro e di suo padre, l’Azienda che oggi ha il suo nome. Eppure non dimentica mai, nei suoi discorsi, nei suoi racconti, di riportare la testa e il cuore al passato.
I nonni, straordinario termine di paragone per i momenti in cui oggi avremmo la tentazione di dirci stanchi e affaticati, e saremmo quasi tentati di chiamarci fuori.
La nonna in particolare, donna dalle profetiche idee di lavorazione in vigna e dalla lungimiranza illuminata.
Suo padre, esempio da seguire nel lavoro, nella costanza, nella voglia di arrivare là dove un tempo arrivavano i filari del padre; e quel pero messo in fondo al campo, che lo guarda, a ricordargli che gli obiettivi che abbiamo detto ad alta voce non si dimenticano di noi, e ci presentano il conto ogni volta che usciamo di casa e li troviamo davanti ai nostri occhi.
Oggi, ancora e sempre, rispetto.
Per sua moglie, che lo ha tenuto sempre ancorato al senso pratico. E per suo figlio Mattia, che dall’alto dei suoi 3 anni di vita, un giorno gli pose una domanda semplice quando destabilizzante. Era un bambino senza freni, e all’ennesimo divieto di correre tra i filari dove si era appena trattato, semplicemente si girò, e guardandolo gli chiese: Papà, ma perchè non posso girare dappertutto?”
Da quel giorno, Daniele ha deciso di applicare il rispetto nel senso totalitario del termine; alla vigna, alla lavorazione, alla terra, al suo mondo di vignaiolo.
La vigna, che mentre camminiamo lui accarezza, cura, sente, la chiama “lei” e ne delinea i tratti come di una persona amata a cui si dona il più genuino dei sentimenti. Le da tutto quello di cui lei necessita; le dà protezione, concedendole però lo spazio che le serve per restituire il meglio dei suoi frutti.
Ed è inevitabile che lei contraccambi con una qualità ed una riconoscenza eccezionali.
Apriamo con lui il Timorasso San Leto Blu, naso intenso e complesso di frutta esotica che lascia spazio a sentori di idrocarburi e pietra focaia.
E ancora il Giallo di Costa, bianco vinificato in rosso, splendido oro antico dai riflessi aranciati, trama complessa e affascinante che invita a proseguire il dialogo.
Terminata la poesia ruvida e sincera dei bianchi, Daniele ha ancora tela su cui dipingere il risultato del rispetto. “Versatevi l’Elso per cortesia”, e intanto lui si alza e va in cucina. Frutta matura, pepe nero e liquirizia, tannicità prevalente, è il vino di cui parliamo mentre lui è impegnato a preparare l’impasto dei gnocchi e ci racconta della dedica a suo nonno, Ulisse di nome, che tutti chiamavano Elso.
Anche sulle bottiglie leggiamo parole che raccontano il suo riconoscimento al passato, alla terra, alla vita.
Cristallino, al termine della giornata, il sentimento, unico e forte: se riusciamo ad abbandonare per un istante la nostra frenesia quotidiana, e ci voltiamo, ritroviamo quel bagaglio di sentimento e di vita, presente, prepotente, che in silenzio e con forza ha modellato quello che siamo oggi.